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Mulino Rosta (Bardi, loc. Noveglia)

Il mulino, disattivato ed abbandonato almeno dagli anni ’80, sorge alla destra del rio Rosta o Fontana a monte della confluenza con il rio delle Casazze.
Il vecchio edificio in sassi squadrati, si presenta oggi diroccato ma pieno di elementi che raccontano il suo glorioso passato da mulino ad acqua.
Nonostante la ruota idraulica sia scomparsa da anni, è ancora ben riconoscibile il grande albero orizzontale che percorre l’interno dell’edificio per spuntare al’esterno nella posizione dove originariamente era presente la grande ruota verticale in legno, oggi scomparsa. Tra i resti dell’edificio è visibile e ben riconoscibile anche l’antico meccanismo lubecchio-rocchetto necessario per trasformare il moto orizzontale che nasceva dalla ruota idraulica nel moto verticale che era necessario per mettere in movimento le grandi macine in pietra, elementi imprescindibili per il funzionamento dell’opificio, importanti reperti presenti tuttora all’interno di Mulino Rosta, insieme ad una tramoggia in legno.
Sul retro della costruzione sono ancora presenti le tracce di un piccolo forno.

 

Flavia De Lucis, Alberto Morselli, Lorenza Rubin, Aqua masnada : mulini e mugnai dell’Appennino reggiano e parmense, Reggio Emilia 1990

GCPR, Derivazione Acque Pubbliche, III B1 128

CIDR 1888, p. 58 n. 497

IGM F 84 1 NO

 

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Mulino di Casola (Tizzano Val Parma, loc. Casola)

Le prime tracce scritte riguardanti questo manufatto compaio nei fogli dell’Archivio di Stato di Parma che documentano la domanda di costruzione dell’opificio da parte di Bucci Paolo, risalente all’anno 1839.
Molino di Casola sorge alla sinistra dell’omonimo rio e si presenta come una costruzione di due piani in sasso a pianta rettangolare e con tetto a due falde. Le due macine erano posizionate al piano terra ed il loro funzionamento era affidato ad una coppia di ruote a ritrecine che, fino alla fine degli anni ’80, venivano utilizzate saltuariamente per l’alimentazione animale.
L’edificio è attualmente riconvertito ad abitazione privata. Nonostante i recenti interventi di restauro che si notano osservando la copertura, le gronde e gli infissi del manufatto, rimangono ancora visibili l’originaria muratura in sasso utilizzata per la costruzione dell’mulino, oltre ad alcune tracce del canale di derivazione e degli archi che ospitavano le ruote a ritrecine.

Bibliografia:
Flavia De Lucis, Alberto Morselli, Lorenza Rubin, Aqua masnada : mulini e mugnai dell’Appennino reggiano e parmense, Reggio Emilia 1990
ASPR (Archivio di Stato di Parma), Fabbriche Acque e Strade, Mulini, busta 81
IGM F 85 IV SE
CTR 217060

Il mulino si trova nell’area di passaggio di una delle Vie Storiche dell’Emilia-Romagna, la Via di Linari, che collega la città di Fidenza all’abazia di Linari nei pressi del Lagastrello, sulle orme degli antichi pellegrini. Parallela alla Via Francigena, la Via di Linari si congiunge con diversi cammini in zona di crinale che proseguono verso Pontremoli, Lucca, Roma.

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Mulino della Siracola (Bedonia, loc. Masanti)

Il mulino era in attività fino a pochi decenni fa. Sono evidenti i segni dell’inizio di alcuni lavori di ristrutturazione per il suo utilizzo ad abitazione e la ripresa dell’attività molitoria stessa i quali tuttavia giacciono invariati almeno dal 2011.

L’edificio in mattoni a corpi giustapposti su un unico livello venne costruito attorno al 1945. Le tre coppie di macine, forse ancora conservate all’interno dell’edificio erano azionate dalla ruota di ferro a cassette posta sul lato dell’edificio e della quale è ancora presente anche la doccia di attivazione.

Flavia De Lucis, Alberto Morselli, Lorenza Rubin, Aqua masnada : mulini e mugnai dell’Appennino reggiano e parmense, Reggio Emilia 1990

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Ruderi del Castello di Pietra Piana (Bedonia, loc. Carniglia)

Il castello sorge su un pianale a cui deve il nome, a strapiombo su di un’ansa del fiume Taro. Sondaggi, anche superficiali, portano alla luce anche le fondamenta che testimoniano la presenza di un piccolo borgo arroccato alle mura del castello.
Lungo i fianchi del pianoro le campagne di scavi condotte dal prof. Pier Luigi Dall’Aglio hanno portato alla luce i muri di contenimento in pietra squadrata posata a secco, mentre all’estremità occidentale è riconoscibile un piccolo rilievo che si ipotizza potesse ospitare una torre di vedetta. Questa forma: una torre circondata da mura irregolari segue l’esempio di analoghe fortificazioni diffuse in tutta l’area ligure tra il XII e il XIII sec.
Le prime testimonianze dell’edificio si hanno attorno al XI-XII secolo. Certamente nel XIII secolo il fortilizio era uno dei punti di forza della famiglia Luisardi, tanto che, nel 1257, questi si mossero proprio da Petra Plana per la conquista di Borgotaro.
Nel 1283 il forte ed il vicino castello di Montarsiccio furono distrutti da un incendio ma entrambi risorsero più forti di prima. A dimostrazione di ciò si sa che nel 1335 il castrum di Pietra Piana si mantiene fedele alla famiglia Visconti di Milano nella sua lotta contro la Chiesa. Sempre da Milano, Francesco Sforza, rende nel 1454 a Manfredo Landi tutti i possedimenti che furono del padre fino alla sua morte avvenuta nel 1429, riannettendo il territorio allo Stato Landi.
Dopodiché la fortezza probabilmente decadde: il luogo non viene nemmeno citato nella Descrizione dei possedimenti dello Stato Landi compilata da Carlo Natale nel 1617. Nel 1635 risulta “desolato e distrutto”.
Nel catasto del 1823, sulle reliquie del castello vi è registrato un edificio, descritto col toponimo “casa di Pietra Piana”.

di Corrado Truffelli:

“Nel suo scritto “Per la storia di Bedonia” (1924), G. Micheli fa risalire la famiglia dei Lusardi al Luxiardo figlio di Plato de Platis e ricorda il “famoso atto divisionale” del 5 ottobre 1022 contenente l’assegnazione al capostipite dei Lusardi del “fortalitium Arsutii et omnibus terris, pactis et juribus (…) quae sunt ultra Tarum et Goteram citra Tarium ultra Valaculam usque ad terminum Genuae”, e quindi anche di Petraplana, che sorge presso Carniglia a strapiombo sul Taro.
Oggi sappiamo che il “famoso atto divisionale” è un falso; ciò non toglie che, specie nel XIII secolo, il fortilizio di Pietra Piana, uno dei punti di forza dei Lusardi, potenti alleati di Ubertino Landi, abbia avuto una notevole importanza.
Ciò non impedì che, nel 1283, fosse incendiato e distrutto insieme al vicino castello di Montarsiccio; entrambi, comunque, risorsero “più forti di prima”.
Guglielmo Capacchi osserva che il “castello era certamente ancora saldo nel 1335”; il 23 dicembre 1454, Francesco Sforza restituì a Manfredo, figlio del fu Manfredo di Lando, tutti i beni terrieri posseduti fino alla morte, avvenuta nel 1429, del fu Manfredo, fra essi sono indicati Montearsicio e Petraplana (perg. nn.2412 – 2415).
Dopo il 1450, il castello dovette decadere, tanto che, nel 1617, non è neppure citato fra le più di 140 località descritte nella carta geografica contenuta nel libro di Carlo Natale (e il Capacchi precisa che era “desolato e distrutto” nel 1635).
Il Boccia, scrivendo nel 1804, riferisce che “sulla sponda sinistra del Taro rimpetto ai mulini di Carniglia vi sono molte reliquie di un forte e antico Castello di un luogo chiamato Pietrapiana, e d’intorno ad esso per molta distanza scopronsi non pochi fondamenti di case.
Si dice che in queste nei tempi andati vi fosse una fabbrica di velluti, nella quale vi erano tredici tellaj”.
Nel catasto del 1823, nel luogo in cui sorgeva il Castello, è indicato un piccolo edificio con la dicitura “Casa di Pietra Piana”.
Nel 2004, per la cortesia del prof. Pier Luigi Dall’Aglio è stato possibile effettuare una campagna di rilievo dei ruderi, di cui si riportano alcuni risultati.
Attualmente la vegetazione penetrabile soltanto con grande difficoltà, rende quasi impossibile la lettura delle tracce sul terreno “

 

Antonio BOCCIA, Viaggio ai monti di Parma (1804), Parma, Artegrafica Silva, 1970;
Guglielmo CAPACCHI, Castelli della montagna parmigiana, Parma, Artegrafica Silva, 1976;
Ferruccio FERRARI, Il castello di Pietrapiana, in: Gazzetta di Parma del 15 febbraio 1982;
Giuseppe MICHELI, Per la storia di Bedonia, Parma, Unione Tip. Parmense, 1924;
Carlo NATALE, Libro della descritione in rame de i Stati et feudi imperiali di don Federico Landi, ecc., ristampa a cura di Compiano Arte e Storia, 1977;

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Mulino di Capoponte (Tizzano Val Parma, loc. Capoponte)

Alimentato dalle acque del torrente Parma, il mulino sorgeva sulla sua sponda destra.

Censito per la prima volta nella mappa catastale del 1822 come proprietà del conte Angelo Pettorelli, il mulino risulta oggi completamente trasformato.
Alla fine del XIX secolo il mulino contava una ruota verticale che azionava tre macine e faceva funzionare il mulino come follo e tintoria. Nel 1922 la ruota e le macine esistenti vennero sostituite da una ruota verticale in legno a cassette che azionava una macina ed una in ferro più piccola che attivava alternativamente la stessa macina della precedente o una turbina idroelettrica.

Non vi è più traccia di queste due grandi ruote verticali.L’edificio ha subito un ampliamento e un cambio di destinazione d’uso in prosciuttificio.

Bibliografia:
Flavia De Lucis, Alberto Morselli, Lorenza Rubin, Aqua masnada : mulini e mugnai dell’Appennino reggiano e parmense, Reggio Emilia 1990

Il mulino si trova nell’area di passaggio di una delle Vie Storiche dell’Emilia-Romagna, la Via di Linari, che collega la città di Fidenza all’abazia di Linari nei pressi del Lagastrello, sulle orme degli antichi pellegrini. Parallela alla Via Francigena, la Via di Linari si congiunge con diversi cammini in zona di crinale che proseguono verso Pontremoli, Lucca, Roma.

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Mulino di Berzola (Langhirano, loc. Berzola)

Il mulino si trova alla sinistra del torrente Parma, in località Berzola. L’edificio compare come mulino a tre ruote nella mappa catastale del 1823 e, fino agli anni quaranta, le tre grandi macine in pietra erano azionate da ruote a ritrecine.
Alla fine degli anni quaranta l’edificio fu ampliato ed i vecchi meccanismi furono sostituiti con turbine ed impianti a cilindri.
Attualmente il mulino non è più in funzionamento, l’unico indizio dell’originaria attività molitoria che si può scorgere dall’esterno dell’edificio è il vecchio canale di derivazione.

Bibliografia:
Flavia De Lucis, Alberto Morselli, Lorenza Rubin, Aqua masnada : mulini e mugnai dell’Appennino reggiano e parmense, Reggio Emilia 1990

Il mulino si trova nell’area di passaggio di ben due Vie Storiche dell’Emilia-Romagna, la Via Longobarda, e la Via di Linari che collegano la pianura Padana ai centri oltre Appennino, sulle orme dei Longobardi la prima, dei fedeli del Volto Santo diretti all’Abazia di Linari la seconda. Risalendo i due crinali che paralleli puntano verso il confine sud della regione, entrambe attraversano Parchi regionali e il Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano, ricadendo per buona parte dentro l’area MAB-UNESCO.

 

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Maestà Pietà C.G. (Tizzano Val Parma, loc. Pietta)

Posta sul muro esterno del mulino di Pietta (o Mulino Rosati sulla cartografia), la Maestà fu realizzata per volere di “Comelli Giovanni” come testimoniano le iniziali “C. G.” incise in corrispondenza dell’angolo superiore sinistro. La formella in marmo bianco rappresenta una Pietà. La Vergine, avvolta nell’ampio panneggio delle sue vesti e col capo coperto dal velo regge sulle ginocchia il corpo esangue di Cristo. Il suo volto non è scomposto dal dolore e alza la mano sinistra al cielo. La diagonale suggerita dalla posizione della Vergine è controbilanciata da quella opposta del Cristo, scolpito in un bassorilievo leggermente più aggettante, e del cherubino che osserva la scena sporgendosi sopra la spalla della Vergine. Questa ricercatezza compositiva e aneddotica testimonia una certa cultura artistica da parte dello scultore.
Sulla base della formella sono incise le parole “FAC UT TECUM LUGEAM”, che tradotte significano “fa’ che io pianga con te”, un verso della preghiera di origine trecentesca “Stabat Mater” dedicata al dolore della Madre per la perdita del Figlio.
Forse ciò riconduce all’intenzione dietro alla realizzazione o all’acquisto della formella: a ricordo di un figlio.

 

Bibliografia:
Caterina Rapetti, Marco Fallini, Per antiche strade : immagini di devozione lungo la Val Parma, con un contributo sulla viabilità antica di Gianluca Bottazzi, Parma, Silva, 2002;
Flavia De Lucis, Alberto Morselli, Lorenza Rubin, Aqua masnada : mulini e mugnai dell’Appennino reggiano e parmense, Reggio Emilia 1990

La maestà si trova nell’area di passaggio di una delle Vie Storiche dell’Emilia-Romagna, la Via di Linari, che collega la città di Fidenza all’abazia di Linari nei pressi del Lagastrello, sulle orme degli antichi pellegrini. Parallela alla Via Francigena, la Via di Linari si congiunge con diversi cammini in zona di crinale che proseguono verso Pontremoli, Lucca, Roma.

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Mulino di Pietta (Tizzano Val Parma, loc. Pietta)

Il mulino si trova sulla destra del torrente Parmossa, ad ovest di Pietta nel comune di Tizzano Val Parma. Attualmente l’edificio ospita l’abitazione della figlia di Guerrino Rosati, l’ultimo mugnaio che cessò l’attività nel 1972 e che, a sua volta, aveva ereditato l’attività dal padre Ferdinando Rosati. La famiglia Rosati era specializzata nella costruzione e nella gestione di mulini, non solo nella zona di Tizzano Val Parma della quale erano originari, ma anche nel territorio reggiano.

Da Derivazione Acque Pubbliche, descrizione del funizionamento del mulino di proprietà Rosati Ferdinando, nel 1922 “…a mezzo di tre ruote idrauliche, due ad asse (verticale) a palette ad orecchie in legno; sistema vecchio; la terza ruota ad asse (orizzontale) a cassetta del diametro di m. 5… ma lavorava … con una macina alla volta e raramente con due nei periodi di pioggia”

L’opificio figura nella mappa catastale del 1822 e, nonostante le vicende storiche ed i lavori di restauro che si sono susseguiti nel tempo, porta con se alcuni segnali testimoni delle vicende storiche. All’esterno della costruzione è ancora percepibile la presenza della gora, vasca che serviva per convogliare l’acqua dal torrente e conservarla per i mesi estivi, cosi da permettere il funzionamento dell’opificio durante tutto l’anno. In inverno venivano macinate le castagne essiccate, mentre in estate si macinava il frumento.

Le mura esterne del mulino ospitano una maestà in marmo bianco datata 1854, mentre all’interno dell’edificio è presente un concio recante il millesimo 1856.

Bibliografia:
Flavia De Lucis, Alberto Morselli, Lorenza Rubin, Aqua masnada : mulini e mugnai dell’Appennino reggiano e parmense, Reggio Emilia 1990

Il mulino si trova nell’area di passaggio di una delle Vie Storiche dell’Emilia-Romagna, la Via di Linari, che collega la città di Fidenza all’abazia di Linari nei pressi del Lagastrello, sulle orme degli antichi pellegrini. Parallela alla Via Francigena, la Via di Linari si congiunge con diversi cammini in zona di crinale che proseguono verso Pontremoli, Lucca, Roma.

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Mulino del Chiastrone (Langhirano, loc. Chiastrone)

Il mulino sorge nella piccla frazione di Chiastrone, all’interno di un più grande edificio in sasso a tre livelli di pregevole aspetto. Gli architravi di porte e finestre di alcuni degli edifici del luogo portano inciso un millesimo che ne attesta la loro esistenza attorno alla metà del 700. In questo caso, sopra una finestra del secondo piano, è riportato il millesimo “1766”.
Tuttavia del mulino stesso se ne ha notizia già dal 1556. Nel corso di una causa civile fra il proprietario del mulino di Chiastrone-Catabiano e il proprietario del mulino di Renano, situato più in basso e sulla sponda opposta, venne prodotto un documento in cui si stabiliva la priorità di quest’ultimo sul suo rivale. In tale documento della Congregazione dei Cavamenti del Parmigiano risultava “ … che fino dal 1556, in una causa in corso tra certi De Fantis Fratres (a quell’epoca proprietari del mulino di Renano) e Blasius De Boschis et Petrum e consortes De Ricardis, si stabiliva ‘la priorità del molino dei De Fantis sugli altri tutti ed in ispecie su quello del suo rivale di Chiastrone-Catabiano col quale trovasi in lotta anche oggigiorno per causa congenere a quella del 1556″. Vari testimoni ascoltati nel 1556 affermavano che il mulino di Renano fosse il più antico e quindi vantasse vecchi diritti sull’uso delle acque.” (C. Melli, Langhirano e la sua memoria, Langhirano, 1982, pp. 52-53).
Del mulino si ha notizia anche in una sentenza del 1567 del Governatore di Parma Bartolomeo Turco.

L’impianto a ruote orizzontali a retricine (rimane solo il sistema di captazione delle acque) azionava tre coppie di macine: per frumento, granoturco ed orzo

Il mulino e follo figura nella mappa catastale del 1823, intestato a Boschi Giovanni ed è censito nella Carta Idrografica del 1888

Dalla relazione inviata dai fratelli Ugolotti, proprietari nel 1919, si apprende che il mulino … deriva acqua dalal parma con un canale di mt. 630, ma in tempo di siccità si serve di quella che deriva dal mulino del Pastorello … e che … sul canale derivatore esistono due salti, uno di mt. 3,80 la cui energia serve ad azionare le macine del mulino in numero di 3 e del diametro di m. 1,30 ciascuna ed un secondo a valle di mt. 1,50 la cui ebergia serve ad azionare un frantoio per cortecce ed altro materiale conciante costituito da una sola macina verticale del diametro 1,40 che muove una ruota a palette con trasmissione ad ingranaggi e un follo per  pelli.
Fino agli anni Cinquanta era attiva anche una piccola centrale elettrica che forniva luce alla frazione di Chiastrone-Cattabiano.

Oggi privato della sua funzione originaria, l’edificio viene ben mantenuto a scopo abitativo.

Nelle immediate vicinanza si trova un pilastrino con una maestà.

Bibliografia:
Flavia De Lucis, Alberto Morselli, Lorenza Rubin, Aqua masnada : mulini e mugnai dell’Appennino reggiano e parmense, Reggio Emilia 1990, p. 222, n. 32.
Materiale archivistico:
Genio Civile PR, Derivazione acque pubbliche, III BU 34;
Archivio di Stato PR, Catasto cessato, Langhirano, Sez. E, part. 69;
Carta Idrografica 1888, p. 102, n. 213.

Il mulino si trova nell’area di passaggio di ben due Vie Storiche dell’Emilia-Romagna, la Via Longobarda, e la Via di Linari che collegano la pianura Padana ai centri oltre Appennino, sulle orme dei Longobardi la prima, dei fedeli del Volto Santo diretti all’Abazia di Linari la seconda. Risalendo i due crinali che paralleli puntano verso il confine sud della regione, entrambe attraversano Parchi regionali e il Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano, ricadendo per buona parte dentro l’area MAB-UNESCO.

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Mulino Ghiare (Corniglio, loc. Ghiare Inf.)

Del mulino si hanno notizie documentarie a partire dal 1500, ma probabilmente Ghiare Inferiore di Corniglio ospitava edifici simili a partire da 1300, per la cui esistenza si spiega proprio la collocazione della frazione stessa.

L’edificio in sasso a due corpi giustapposti ospitava sia le stanze delle macine che, al piano superiore, le stanze dell’abitazione del mugnaio.
Il mulino ha cessato la sua attività nel 1982 a seguito della piena del torrente, ed era costituito, al momento della dismissione, da due impianti separati che azionavano due coppie di macine ciascuno.
Sono ancora visibili sul fronte Sud Est, verso il torrente Parma, i tre archi i scarico delle acque che ospitavano originariamente altrettante ruote a mescola ed è ancora riconoscibile il canale di derivazione.
Oggi il mulino è interamente utilizzato a scopo di abitazione.

Sulla facciata Nord Est, quella affacciata verso la strada del paese si trovano due icone devozionali, poste all’interno di cornici in arenaria recanti il millesimo “1804”.

Flavia De Lucis, Alberto Morselli, Lorenza Rubin, Aqua masnada : mulini e mugnai dell’Appennino reggiano e parmense, Reggio Emilia 1990

Il mulino si trova nell’area di passaggio di una delle Vie Storiche dell’Emilia-Romagna, la Via Longobarda, che collega la pianura Padana al mare ligure-tirreno, attraversando due Parchi regionali e uno nazionale, e ricadendo per buona parte dentro l’area MAB-UNESCO.

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Casa Rustica dei Graiani (Corniglio, loc. Ghiare Inferiore)

Poco rimane della casa rustica costruita interamente in pietra di fiume nella prima metà del ‘500. Il crollo di uno dei quattro muri permette di vedere il caminetto interno, ancora intonacato, ma parte del casolare immortalato negli anni ’70 del 900 da Enrico Dall’Olio è andato perduto. Inoltre all’edificio è stata aggiunta una superfetazione a scopo magazzino costruita in blocchi di cemento.
L’edificio faceva parte del nucleo di Ghiare Inferiore, costruito a ridosso del fiume per sfruttarne la forza nei mulini che macinavano per l’intera zona.

Di questi mulini ce n’è pervenuto almeno uno ai giorni nostri.

E.Dall’Olio, M. Pellegri, G. Capacchi, Architettura spontanea dell’Appennino parmense, Parma, 1970

Il rustico si trova nell’area di passaggio di una delle Vie Storiche dell’Emilia-Romagna, la Via Longobarda, che collega la pianura Padana al mare ligure-tirreno, attraversando due Parchi regionali e uno nazionale, e ricadendo per buona parte dentro l’area MAB-UNESCO.

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Mulino dei Biancarelli (Bardi)

L’edificio in sasso, completamente restaurato e riconvertito in abitazione privata, è formato da due corpi giustapposti con tetto a due falde ed originariamente comprendeva i locali del mulino ed i locali adibiti ad abitazione.

Il ricordo della funzione originaria di mulino è evidente dalle macine presenti nel retro dell’edificio ed inglobate in un muro di contenimento. Un’altra macina si trova nel giardino privato della casa, riutilizzata per la costruzione di un tavolo rotondo in pietra da esterno.

Il mulino era dotato di 3 ruote orizzontali e le macine sono ancora presenti ed in buono stato di conservazione

bibliografia

Flavia De Lucis, Alberto Morselli, Lorenza Rubin, Aqua masnada : mulini e mugnai dell’Appennino reggiano e parmense, Reggio Emilia, C.P.C.A., 1990, p. 314.