Il mugnaio è sempre stato una figura centrale nell’economia della comunità in quanto rappresentava l’anello di congiunzione tra la produzione agricola e le fasi successive di elaborazione delle farine per l’alimentazione umana ed animale. Si trattava inoltre di un tecnico qualificato oltre che nell’arte della molitoria anche in quella meccanica ed idraulica. Il mugnaio doveva essere infatti in grado di far funzionare ed eventualmente riparare i meccanismi del mulino e di gestire al meglio il fiume o il torrente che ospitava il mulino per sfruttarne al meglio l’energia.
Durante il periodo romano, quando l’azionamento del meccanismo dei mulini era affidato agli schiavi, la figura del mugnaio non era certamente la più ambita. La situazione cambiò notevolmente a partire dal periodo medievale, quando i mulini erano costruiti dai signori locali, dai comuni o dalle libere città ed il mugnaio rappresentava la figura a cui era affidato il compito di conduzione e gestione dei mulini. Durante questo periodo i mugnai erano dunque lavoratori rurali dipendenti del potere signorile, laico o ecclesiastico.
Attorno al XIV secolo iniziarono ad emergere i primi mugnai che, affittando al comune i mulini, acquisirono i diritti di imporre tasse di molitura. Nel XV secolo i Munari (o Molinari) erano una corporazione presente a Parma, seppure non rivestirono mai una posizione di grande importanza nella vita societaria.
Ai mugnai era proibito vendere farina o detenerne più del necessario per il sostentamento della famiglia, era altresì vietato a fornai e venditori di farina prendere in affitto un mulino. I mugnai erano oltretutto sottoposti ad un imposta sul macinato che, nella seconda metà del XIX secolo, portò alla rivolta del 1° gennaio 1869, quando tutti i mugnai italiani si chiusero dentro ai loro mulini per protesta ad una legge che penalizzava in particolare le realtà più deboli dei mulini di montagna.