Pian Pintardo: i cippi di confine

ANTICHI CONFINI FRA LA VAL TARO E LA VAL DI VARA
(di Corrado Truffelli)

Sono rimasti, a Pianpintardo e, più in basso, tre bei cippi confinari: il luogo si può raggiungere con una strada sterrata che parte da Casale, in comune di Tornolo, supera il passo della Croce, giunge a Pianpintardo ed, entrata in comune di Varese Ligure, si congiunge con la strada che dal passo di Cento Croci scende a Varese.

Essi raccontano una lunga e complicata storia di lotte di confine1.

Nella parte superiore del primo di essi, posto proprio sul ciglio dello spartiacque tra Taro e Vara, al bordo della spianata di Pianpintardo, è inciso l’angolo di deviazione della linea di confine dalla linea di displuvio; seguendo la direzione indicata dall’incisione e scendendo nella faggeta, nell’impluvio del rio di Overera, si individuano gli altri due termini.

Per quanto si ritenesse – e vi è chi lo ritiene ancora – che i confini naturali siano quelli che corrono lungo le linee di displuvio fra le valli («e per essere questo confine terminato da cime de Monti acque versante dall’una e l’altra parte sono confini eterni et immutabili», è scritto nei vecchi documenti2), i confini fra Liguria ed Emilia in Alta Val Taro si discostano da questa norma, proprio a partire da Pianpintardo.

Il confine, infatti, dopo aver seguito il displuvio da Cento Croci al Monte Zuccone e a Pianpintardo, penetra nella valle del Taro, scendendo lungo il rio di Overera fino a Pelosa, a monte della quale tutta la sponda destra della valle è territorio ligure fino al rio Chilinella, che sfocia in Taro di fronte a Cerosa di Santa Maria del Taro.
Così non era (e i Valtaresi, e, in particolare i Casalesi, non ritenevano che fosse) fra Quattrocento e Cinquecento, quando stipularono i loro contratti di investitura con i Ravaschieri. Secondo due documenti del 1459 e del 1512, i confini di allora comprendevano tutto il versante posto a destra del Taro, oltre il rio di Overera.

Erano infatti così indicati: «flumen Tarij, ab uno latere fossatus Polani3 usque ad Fo [Faggio] di Cassio4, pro ut revertitur aqua versus Tarum per totum Montem de grecio5, et usque ad podium [poggio] Ventarolla, pro ut capitur [giungere in] pratum plani di pintardo».

Oltre questo punto cardine, si proseguiva lungo il confine, che rimase stabile, prima seguendo lo spartiacque, fino ad cacumen Montis Colleri6, per poi proseguire lungo la linea di divisione con Tornolo e Tarsogno: «superius coheret [confina] in capite plani de prato inverno usque ad podium de prato del Bugio ubi plantatum est Terminum unum, quod Terminum dividit ab illis de Turnulo, et Tarsogno; et ab alio latere coheret costa de Vallaria podium de lo assedo, usque in rivo de Corna7 retornandum in dicto Flumen Tarrij». Ma questi confini non erano rispettati dagli uomini della Val di Vara…

Ci si può chiedere perché, nella seconda metà del XVI secolo, vi sia stata quella che appare una vera e propria escalation nei conflitti di confine tra Val Taro e Val di Vara, conflitti non soltanto di singoli uomini, ma ai quali non erano estranei, come risulta evidente, i governi di Genova e di Compiano. Una possibile risposta viene da una dichiarazione resa, nel corso di uno degli innumerevoli atti possessori effettuato l’8 giugno 1572, dagli uomini di Casale i quali, dopo aver confermato ancora una volta i loro confini «come l’acqua versa», dicono «di più che hanno sempre tenuto questo terr[ito]rio ancora che da quel tempo in qua che la Rep[ubbli]ca di Gen[ov]a ha usurpato il luogo di Varese, gli huomini di Varese confermati nelle forze dalla gran potenza di Genovesi hanno cominciato a turbare detti di Casale».

Per comprendere questo giudizio, tutto politico, dei Casalesi di allora, occorre ricordare la contesa tra i Landi e i Fieschi per il feudo di Varese e come, caduti i Fieschi, la Repubblica di Genova si fosse impossessata di Varese sottraendolo ai Landi.

Dopo innumerevoli episodi di scontri fra uomini dei due versanti, nel 1611 il principe Federico Landi, nonostante fosse al culmine del suo potere anche in ambito genovese, per ragioni che non è facile comprendere, accettò una sentenza arbitrale che attribuiva alla giurisdizione di Varese sia la sponda destra del Taro fra i rii Chilinella e di Overera, sia, sulla sua sinistra, la parte alta della Valle della Tarola, e il “cuneo” di Codorso «usque ad summitatem Montis Penne» (cioè, secondo la nomenclatura attuale, il Trevine)8, con la conseguenza non soltanto di una cospicua perdita di territorio, ma che il suo stato fosse tagliato in due, isolando completamente Santa Maria del Taro da Compiano.

Nel 1822, tra il Ducato di Parma e lo Stato Sardo, fu stipulato un accordo che attribuiva al Ducato la parte di territorio sulla sinistra del Taro (Codorso e dintorni), rideterminava la linea di confine e disponeva l’apposizione dei cippi.

Nulla cambiò, tuttavia, sulla riva destra (per cui, ancor oggi, se si va da Pontestrambo a Santa Maria del Taro, costeggiando il Taro, varcato il ponte sul rio di Overera, si percorre un tratto di strada, dove vi è la località di Pelosa, posto in comune di Varese Ligure).

NOTE:

1 Una ricostruzione di tali vicende è contenuta in: TRUFFELLI Corrado, Secolari controversie di confine in Alta Valle del Taro, Archivio Storico per le Province Parmensi, quarta serie, vol. LII, 2000, pp. 455-504;
2 Si veda la Descrizione de Confini della Giurisdizione di Varese… del 1633 e l’analoga del 1646 in Fondo Confini, busta 258 dell’Archivio di Stato di Parma.
3 È il rio Chilinella che scende dal monte Pollano e che in un documento successivo (1646, lunedì ultimo di luglio; sopralluogo del podestà di Varese e del notaio Jo: Franciscus de Basterijs) è detto Chilinella di Pollano (ivi).
4 È il Faggio di Cassego, punto di riferimento posto sul crinale fra Val Taro e Val di Vara, indicato anche in documenti successivi.
5 È il monte dei Greci e cioè il displuvio fra val Taro e Val di Vara ad est della Ventarola.
6 Qui, come si vede, il monte Collero è distinto dalla Ventarola, da cui è separato da Pianpintardo.
7 Altrove rivo di Cornale o di Cornalle; nel XIX secolo: rio di Cato o di Catto.
8 Archivio di Stato, Parma: Confini, 376.